F. Corti: Ospitare, assistere, guarire

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Titel
Ospitare, assistere, guarire. L’ospedale di Bellinzona da ospizio medievale a polo ospedaliero regionale


Autor(en)
Corti, Francesca
Erschienen
Bellinzona 2011: Edizioni Casagrande
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Rosario Talarico

Sebbene Francesca Corti, autrice del volume sulla storia dell’ospedale San Giovanni di Bellinzona, definisca la sua ricerca una galoppata tra i secoli, l’impressione che si ricava dalla lettura è quella di un lavoro preciso e convincente. È infatti riuscita nell’impresa di districarsi con successo tra le vicende della lunga storia nosocomiale: ha selezionato con giudizio i fatti significativi, definito gli elementi periodizzanti e rintracciato un fil rouge che conferisce ordine e senso interpretativo all’impianto. La qualità scientifica dell’indagine si combina inoltre armoniosamente con il linguaggio chiaro e l’attenzione assegnata alla dimensione narrativa e divulgativa.

La storia dell’assistenza, della medicina, delle istituzioni ospedaliere e sanitarie ha conosciuto una fertile stagione a partire dagli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, quando attraverso prospettive e metodologie storiografiche rinnovate sono apparse pubblicazioni che hanno costituito dei punti di riferimento importanti. Questo interesse si è intrecciato e ha profondamente interagito con le riflessioni critiche che in quegli anni investivano l’universo medico, le pratiche e le strutture sanitarie. I saggi di Michel Foucault, in particolare La nascita della clinica del 1963 (prima edizione italiana nel 1969) e Storia della follia in età classica pubblicato nel 1961 (edizione italiana del 1973), hanno rappresentato dei contributi fondamentali per impostare un’analisi incisiva e raffinata del potere medico-istituzionale. Ma va pure menzionata la provocatoria critica di Ivan Illich al monopolio medico della salute, ai sistemi ospedalieri e, più in generale, al processo di igienizzazione e medicalizzazione delle società occidentali, affidata alle pagine di Nemesi medica apparso nel 1976. «La società ha trasferito ai medici – scrive Illich – il diritto esclusivo di stabilire che cosa è malattia, chi è o può diventare malato e che cosa occorre fargli». Questo privilegio avrebbe generato, accanto a un’estrema specializzazione delle professioni sanitarie, un’attitudine al consumo di terapie, di servizi medici e farmaci e la stimolazione di sempre nuovi bisogni sanitari forieri a loro volta di innescare un’incontrollata lievitazione dei costi della salute. Venivano allora preconizzati scenari divenuti oggi estremamente realistici. L’immagine di una macchina medica, generatrice paradossalmente di nuove forme patologiche rinvia a sua volta al pensiero e all’opera di Franco Basaglia. Lo psichiatra italiano, che legò il suo nome alla controversa legge 180 del 1978, denunciava il perverso potere instauratosi nelle strutture psichiatriche, dove, secondo la sua esperienza, venivano addirittura negate o ostacolate le finalità di cura e guarigione per le quali erano state concepite. E sullo slancio di queste riflessioni si puntava l’indice anche contro una pratica medica divenuta troppo specialistica e tecnicizzata, che aveva smarrito la visione d’assieme, il contatto umano e subordinato all’efficienza terapeutica il rapporto medico-paziente. Riscoprire una dimensione umanistica nell’arida formazione tecnica dei medici è una delle principale finalità delle Medical Humanities.

Queste tematiche agitavano la cultura degli anni Sessanta e Settanta del XX secolo e in quel clima proliferò, come detto, la letteratura storiografica sulla sanità e la medicina. Studi che miravano a superare una visione finalista e celebrativa delle conquiste e dei progressi medico-scientifici, per favorire un approccio più critico e problematico volto a storicizzare i concetti di salute e malattia, di assistenza e cura all’interno dei contesti sociali di riferimento. Per l’Italia, dove questi nuovi indirizzi si affermarono in ritardo rispetto ad altre realtà europee, si può citare il volume collettivo Malattia e medicina, curato da Franco Della Peruta e pubblicato nel 1984.

In Ticino le monografie sugli antichi ospitali di Lugano, Locarno e Bellinzona di Virgilio Chiesa, Giuseppe Mondada e Adolfo Caldelari, ricche di notizie e informazioni, ma condizionate dal carattere commemorativo e agiografico, hanno ceduto il passo dagli scorsi anni Novanta a ricerche più scientifiche e aderenti al rinnovamento storiografico e metodologico. Il libro di Francesca Corti, commissionatole nel 2009 per marcare la fine dei lavori di ammodernamento del nosocomio di Bellinzona iniziati nel 1987, si ricollega idealmente allo studio L’ospedale San Giovanni di Bellinzona di Adolfo Caldelari apparso nel 1967 e aggiornato nel 1971. Se ne differenzia tuttavia, non tanto per il maggior grado di approfondimento, ma proprio per il taglio scientifico moderno dell’impostazione. L’autrice ricorre a una letteratura aggiornata e accreditata e fa affidamento all’esperienza di ricercatrice che ha frequentato i temi di storia sociale. Risalgono infatti al 2004 la pubblicazione de Il mal sottile, sulla lotta antitubercolare nel cantone Ticino e al 2006 uno studio storico esplorativo sugli ospedali distrettuali di Acquarossa, Bellinzona e Faido, frutto di un approfondito esame delle fonti archivistiche e probabile gestazione di questo nuovo volume.

Le origini del San Giovanni affondano, come quelle di molti altri ospitali, nei secoli basso medievali e l’attestazione documentaria più antica risale al 1440. Questo plurisecolare passato viene ricostruito dalla Corti con un espediente «preso in prestito dalla drammaturgia»: due atti e quattro scene scandiscono infatti la sua narrazione. Il primo atto considera l’arco temporale più lungo, dal XIII secolo all’Ottocento, quando il San Giovanni, con un indiretto riferimento al chirurgo francese Jacques-René Tenon, è definito una machine à nourrir. Si trattava in sostanza di un ospizio di carità, destinato a soccorrere i poveri di Cristo, quell’anonima schiera di disperati, miserabili e infermi sprovvisti di mezzi o di parenti che li potessero sostentare. Col tempo questi istituti svilupparono anche un’assistenza esterna a domicilio, dispensando alle famiglie povere modesti sussidi, elemosine, qualche capo di vestiario o alimenti. Queste pratiche al di fuori delle mura nosocomiali erano il tratto che più caratterizzava il San Giovanni, come avveniva per altre strutture analoghe. L’ospedale quindi rappresentava un importante punto di riferimento per le comunità di Bellinzona e la sua azione si insinuava in profondità nel tessuto sociale cittadino. Siamo in presenza di un’istituzione relativamente ricca, la cui amministrazione nel Cinquecento passò nelle mani delle autorità cittadine che coniugarono la pratica assistenziale con il controllo sociale e la sorveglianza della marginalità. Le rendite derivanti dai beni fondiari, dai capitali o le frequenti donazioni assicuravano l’esplicazione delle opere di beneficienza.

La vita dell’ospedale è ricostruita tenendo presenti i diversi piani della sua organizzazione: quelli giuridici e istituzionali, quelli amministrativi, finanziari e gestionali, quelli assistenziali e sanitari. La dimensione medica, sostanzialmente estranea all’universo ospedaliero medievale e di antico regime, ne sarebbe diventata verso la fine dell’Ottocento il tratto più significativo. Francesca Corti si sforza anche di non isolare il San Giovanni dal contesto in cui è inserito. Gli spazi del bisogno e dell’infermità e le pratiche del soccorso evolvono infatti in sintonia con i mutamenti economici, sociali e politici del tempo. L’autrice si preoccupa quindi di tratteggiare gli sfondi della scena: la città di Bellinzona, innanzitutto, le realtà regionale e cantonale e gli ambienti internazionali da dove irradiavano le riforme sanitarie, le scoperte e i progressi scientifici. Non manca infine la volontà di far percepire al lettore, anche attraverso lo studio di un piccolo nosocomio di provincia, come sul filo dei secoli mutino le pratiche della carità e della cura, le condizioni di salute e malattia, così come il rapporto tra il bisognoso e il prestatore di soccorso. L’ospizio, con i suoi successivi ampliamenti e le ristrutturazioni, era uno specchio di tali cambiamenti.

Il secondo atto del racconto di Francesca Corti inizia nella Francia di fine Settecento, dove si verificò un’evoluzione in senso clinico e laico. Le strutture ospedaliere si medicalizzarono, si trasformarono, citando questa volta correttamente Tenon, in machine à guérir. I cronicari, gli ospizi di mendicità, gli ospedali di antico regime divennero luoghi di cura delle malattie acute e tendenzialmente espulsero derelitti ed emarginati. La classe medica si apprestò a occupare gli spazi nosocomiali, ad attribuirsi la prerogativa della cura delle malattie e ad adeguare conseguentemente le strutture secondo le esigenze delle scienze sanitarie. «Perché l’esperienza clinica fosse possibile come forma di conoscenza – scrive Foucault in Nascita della clinica – è occorsa tutta una riorganizzazione del campo ospedaliero, una nuova definizione dello statuto del malato nella società e l’instaurazione di un certo rapporto tra l’assistenza e l’esperienza, il soccorso ed il sapere; si è dovuto avvolgere il malato in uno spazio collettivo ed omogeneo».

I modesti ospitali attivi in Ticino furono interessati da questa colonizzazione medica negli ultimi decenni del XIX secolo. Al San Giovanni il processo fu innescato, secondo l’autrice, dalla necessità di accogliere un gran numero di operai e minatori della Gotthardbahn, affetti da malattie acute e bisognosi di cure per essere riammessi il più rapidamente possibile al cantiere. Nel 1874 ne furono ricoverati quasi 400. Non a caso proprio in quegli anni gli amministratori adottarono un programma di riforma volto ad adeguare la vecchia struttura alle esigenze della medicina ospedaliera e ai progressi della chirurgia. Questa riforma può essere considerata il punto di avvio della modernizzazione dell’istituto e da quel momento la sua storia conobbe un’accelerazione che andò di pari passo con gli impressionanti sviluppi che nel Novecento conseguirono le scienze mediche.

Il fabbricato nei pressi della chiesa di San Biagio fu ampliato a più riprese e nel 1940 si inaugurò la nuova sede, moderna e funzionale anche dal profilo architettonico e della disposizione degli spazi, sulle alture di Ravecchia. Dal secondo dopoguerra l’evoluzione fu ancora più rapida. In particolare nei decenni della crescita economica e del “benessere” la struttura si dilatò e si ramificò con la costruzione di nuovi padiglioni. Furono anni di sviluppo straordinario, ma anche disordinato, in cui sotto la pressione di primari e medici specialisti, organizzati in una lobby influente, vennero potenziati i servizi e i reparti, con apparecchiature sofisticate e all’avanguardia. Questa politica individuale e volontaristica di modernizzazione, che determinò l’affermazione di una moltitudine di ospedali generalisti, fu un tratto tipico dello sviluppo ospedaliero di quei decenni, ma si scontrò presto con difficoltà finanziarie crescenti e insormontabili; nel 1974 il San Giovanni giunse al tracollo finanziario.

Autorità federali e cantonali avviarono di conseguenza una politica volta a pianificare e razionalizzare l’offerta ospedaliera e a stimolare lo spirito imprenditoriale nell’amministrazione dei nosocomi pubblici per diminuire così i costi di gestione e ottimizzare le risorse. In Ticino la riforma del sistema ebbe luogo con la creazione nel 1983 dell’Ente ospedaliero cantonale (EOC), un organismo parastatale che aspirava tra l’altro a ripartire sul territorio l’offerta dei servizi medici attraverso una specializzazione degli istituti su base regionale. Lo stesso anno la commissione amministrativa del San Giovanni decise l’adesione all’EOC e da quel momento iniziò una nuova fase nella vita dell’istituto. Questa però è storia recente.

Nelle prime pagine del volume l’autrice esprime un auspicio: «Riflettere sulle origini e sui mutamenti del San Giovanni significa quindi meglio comprendere il sistema ospedaliero nella sua evoluzione storica, ciò che potrebbe risultare prezioso in un’epoca, la nostra, animata da un vivo dibattito sulla funzione degli ospedali e sull’organizzazione del sistema sanitario» (p. 20). Effettivamente il saggio di Francesca Corti offre non solo un’accurata e complessiva ricostruzione della lunga storia dell’istituto di Bellinzona, ma mette pure a disposizione strumenti per meglio considerare temi nevralgici, come la mercificazione della salute, la sostenibilità dei sistemi sanitari o, più semplicemente, il senso che oggi attribuiamo alle concezioni di salute e malattia.

Citation:
Rosario Talarico: Recensione di: Francesca Corti: Ospitare, assistere, guarire. L’ospedale di Bellinzona
da ospizio medievale a polo ospedaliero regionale, Bellinzona, Ospedale regionale di Bellinzona e Valli, 2011. Prima pubblicazione in: Archivio Storico Ticinese, Vol. 152, pagine 339-341.

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Veröffentlicht am
28.05.2013
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Die Rezension ist hervorgegangen aus der Kooperation mit infoclio.ch (Redaktionelle Betreuung: Eliane Kurmann und Philippe Rogger). http://www.infoclio.ch/
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